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domenica 14 luglio 2013

Lo hobbit-Un viaggio inaspettato

Non si sa se anche il regista neozelandese Peter Jackson sia uno dei milioni di fondamentalisti hobbitiani che venerano il defunto creatore della Terra di Mezzo, il barbuto con pipa professor John Ronald Reuel Tolkien; o che semplicemente aspiri a un altro successo planetario, miliardario e ultrapremiato, come la precedente trilogia Il signore degli anelli, che conquistò il mondo dieci anni fa, tratto dai tre romanzi-fiaba eccentrici e leggermente dementi, scritti negli anni 50 dall’erudito docente di filologia medioevale inglese a Oxford. In ogni caso parendo al regista e ai suoi collaboratori uno spreco fare un solo film sia pure da un solo romanzo, anche Lo Hobbit, prima opera non accademica di Tolkien pubblicata nel 1937 (e ripubblicata adesso da Bompiani in una nuova traduzione) si è dilatata in un’altra cinetrilogia. Ed ecco il primo episodio, Lo Hobbit: un viaggio inaspettato che pare tale e quale alla precedente saga (che sarebbe però il seguito), più o meno con gli stessi attori e personaggi, completo di maghi, mostri, nani, draghi, bestiacce troll, elfi e naturalmente hobbit: forse esageratamente lungo, quasi tre ore, sia per bambini pur appassionati di massacri come i piccoli Simpson televisivi, sia per quegli adulti che credendo ancora alle fate.
 In più la nuova meraviglia tecnica, il digitale 3D ad alta frequenza, fortunatamente possibile in poche sale già attrezzate alla forse inutile bisogna, procura momenti di nausea, accentuati quando appare l’orribile Gollum, il già noto mostriciattolo cattivo, nudo, sdentato ghignante e con enormi occhi rotondi; alla fine poi, dopo tanto accavallarsi di avventure reboanti di cui sfugge la tridimensionalità (se non per una farfalla che pare volarti in faccia), l’eccesso di tecnologia causa negli spettatori più provati attacchi di strabismo. Il terribile drago Smaug ha distrutto il meraviglioso regno dei nani di Erebor, tutto oro e diamanti, e l’erede nano Scudodiquercia, un bel giovanotto dagli occhi bistrati come un divo di Hollywood (Richard Armitage) assieme ai suoi 13 nani anziani con le barbone a treccine e i baffi a mezzaluna, vuole riconquistare regno e ricchezza, con l’aiuto del mago Gandalf (sempre il geniale Ian McKellen) e dell’apparente inetto giovane hobbit Bilbo Baggins (Martin Freeman) la cui pacifica vita viene mandata all’aria da quell’armata Brancaleone definita da uno dei tanti mostri semiumani a cavallo di mostri semibestie, “feccia nanica”. Poi: attraversamento di foreste, fughe in pianure immense, sprofondare in precipizi, cupi laghi sotterranei, caverne terrorizzanti, costruzioni fiabesche, scontri con ogni tipo di orco crudelissimo, battaglia tra enormi guerrieri di pietra, teste mozzate. Mah! E se di questo supposto blockbuster ne tagliassero una bella mezz’ora? Come ovvio, sono meravigliose le scene, sia quelle degli sconfinati paesaggi, dicono veri, della Nuova Zelanda, che quelle digitali di sontuosa fantasia. La compagnia dei nani tutti salvi, via aerea su condor giganti, vede in lontananza la Montagna Solitaria dove si ergono le rovine di Erebor: dentro, sepolto da cascate d’oro, un occhio malefico compare, quello del potentissimo drago Smaug. Il seguito alla seconda, e terza puntata, del resto già girate

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